INTERVISTA A FRANCESCO SCARRONE

Buongiorno a tutti sono appena tornato da Berlino dove ho visto una fiumana di gente che si aggirava per la città vergognata dallo scandalo Volkswagen. Una moltitudine di visi tristi. Tra questi ha attirato la mia attenzione un orientale con la maglia della Germania ,così mi sono avvicinato e gli ho chiesto cosa ne pensava e lui mi ha risposto: ..."Sono Giapponese" o forse "Assumi Giapponese". Frastornato dalla risposta mi sono allontanato con passo felpato. La mia mente ,però, era ormai entrata nel tunnel delle domande incuriosito da quello che le persone possono risponderti, da quello che uno ha da dire. Ho così deciso di arricchire il blog con interviste agli scrittori.
Con l'articolo di oggi vi presenterò un autore a me caro, Francesco Scarrone. Francesco è autore di diversi libri, come il già recensito "Di Lama e d'Ocarina", opere teatrali e del film The Repairman molto amato dalla critica.
Oggi conosceremo meglio Scarrone e chissà che magari anche lui a qualche domanda risponderà "Sono Giapponese". 




1)Come nasce questa storia?

La storia nasce anni fa a Mondovi', in Provincia di Buenos Aires. Ma se avete comprato il libro, questo c'è già scritto dentro.
Se invece siete venuti alle numerose presentazioni che ho fatto, allora già conoscete la storia, perché la racconto sempre.
Se, per contro, brancolate completamente nel buio e vi state domandando: Ma chi è Francesco Scarrone? Ma cos'è questa storia del tango? Ma che razza di libro sarà mai questo Di lama e d'ocarina?, vuol dire che il libro non l'avete ancora letto e che la presentazione non l'avete ancora vista, quindi vale la pena spiegare un attimo come sono andate le cose.
Un giorno, e parlo di un giorno di tanti, tanti anni fa quando ero ancora giovine e longilineo- incontro degli amici che suonano tango. Si tratta del trio Mamagrè. Credo, al mondo, l'unico trio di tango che in realtà sono in quattro. Avevano un disperato bisogno di alcuni brani da recitare sul palco durante i loro concerti, un po' per spezzare il ritmo musicale, un po' per permettere a Marco Marenco di accordare i suoi mille e settecento chitarrini.
Cosi' comincio a lavorare su alcuni brani di tango. Cioè, non di pezzi che volessero parlare del tango o che volessero spigare cosa fosse il tango, né descriverne una storia sociologica. Assolutamente. Io, come sempre ripeto durante le presentazioni del volume, di tango non ne capisco un accidenti. Pero' trovo la musica molto suggestiva e ricca di una forza immaginifica che infondeva in me automaticamente delle visioni, delle storie. Non ho fatto altro che dare voce a quelle storie e metterle sulla carta.
Una volta ultimato il lavoro, e resomi conto che si trattava di un libro di una tristezza infinita e sconfinata come la Pampa, mi sono deciso a scrivere una novella lunga, di forte impatto comico, che potesse permettere al lettore di addentrarsi nel mondo del tango con il passo felpato di un gatto; anzi, del Gato. Il più grande ballerino della peggiore milona dell'universo.
I brani furono, all'epoca, recitati da Marlen Pizzo e Marco Lorenzi. E oggi, l'attrice Elena Griseri, sempre coi Mamagré, porta in giro lo spettacolo Il più grande tanguero della Pampa. Saremo a breve a Milano. (fine spot pubblicitario).

2)Sovente i tuoi racconti e le tue storie sono ambientate in Sud America, da cosa nasce questa scelta?

E' vero. Il Sud America, paese che non ho mai visitato, è per me un immaginario dove si puo' far rientrare tutto. Trovo, nella letteratura sudamericana, quel mix di fantasia, fantastico e mitologia che si lega cosi' bene con la distanza che ci separa da lei geograficamente. Credo che, per me, il Sud America (non un Sud America reale, ma sognato, a volte forse idealizzato), svolga quella funzione che in altri tempi svolse il Far West per le generazioni dei nostri padri; o l'Europa medioevale per gli statunitensi che sognano di castelli e cavalieri.
Un universo lontano in cui galoppa la nostra fantasia, insomma.
La cosa divertente è che, durante le mie presentazioni, mi è capitato di incontrare degli Argentini che mi chiedessero quando avessi visitato Buenos Aires. Davanti alla mia imbarazzata spiegazione , si sono stupiti non credendo che fossi riuscito a coglierne pero' cosi' bene l'essenza.

3) Diego Alvaro de Marenquio Manasero y Gregorio, un nome che occuperebbe da solo tutti i titoli di coda, è il protagonista del racconto principale del libro, a quale personaggio ti sei ispirato per dar vita al più gran tanguero della Pampa?


Spesso mi si chiede se sia stato influenzato da una certa letteratura sud americana. La risposta è Assolutamente no. Se devo trovare delle origini letterarie al personaggio e a questa lunga novella credo che si possano intravedere piuttosto in un autore irlandese: Flann O'Brien, pseudonimo di Brian O'Nolan. Uno scrittore che si battè contro la reviviscenza del movimento neogaelico in Irlanda. O'Nolan si divertiva a giocare con gli stereotipi del mito del Buon Gaelico. Io mi sono divertito a giocare col mito del Buon Tanguero.
Diciamo che, a ben guardare, una tradizione farsesca sul genere del Più grande tanguero della Pampa puo' essere ritrovata in alcuni autori come Daudet in Francia (suo, il Tartarino di Tarascona), o negli Stati Uniti in alcuni libri di Steinbeck (Pian della tortilla, per esempio).
Ma tutto questo è venuto fuori dopo, più tardi, quando le persone hanno cominciato a chiedermi Ma come è nato questo personaggio?
Insomma, è la spiegazione intellettuale, la realtà, invece, è il fatto che il personaggio è nato da sé. Continuavo a scrivere brani seri sul tango e ad un certo punto avevo una voglia matta di divertirmi, di prendere in giro, di far esplodere la mia vena comica. Insomma, avevo un bisogno tremendo di farmi una bella risata!

4)Le situazioni che racconti nel libro raggiungono talvolta una dimensione surreale ma con un taglio comico e divertente, mi viene da dire che hanno un tocco francese, è una scelta dettata dall'ispirazione del momento o è lo stile e il territorio che prediligi?

Ecco, credo di aver parzialmente risposto a questa domanda inglobandola in quella precedente. Perchè si dovrebbero leggere prima tutte le domande, prima di rispondere, ma io sono pigro.

5)Chi sono i tuoi autori preferiti?

Accidenti. Qui si aprono le porte del cielo perché ce ne sono talmente tanti, e poi cambiano con gli anni.
Diciamo che la letteratura, che ho scoperto molto tardi, mi si è presentata inizialmente come letteratura comica, quella di Stefano Benni, per intenderci. Poi Pennac si è affiancato, e poi Baricco.
Sono autori che fanno parte del mio bagaglio, che ho amato, ma che sento, oggi, non più vicini a me (se si esclude, forse, la saga dei Malaussene di Pennac) e a quello che ricerco in un libro.
Poi è venuto Calvino, come potrebbe essere diversamente?
Accompagnato dai grandi calissici, ovviamente. Ho un'ammirazione smisurata per Shakespeare (inizio a muovere i primi passi come scrittore, anni e anni fa, proprio dedicandomi al teatro con gli attori usciti dalla scuola dello Stabile di Torino).
Poi venne tutta la letteratura irlandese. Avendo vissuto anni a Dublino, non poteva non avermi influenzato: Wilde, Joyce (sopratutto Gente di Dublino), Flann O'Brien, Roddy Doyle,  Brendan Behan, Edna O'Brien, Frank O'Connor, Joseph O'Connor, Frank McCourt. Insomma, li ho bazzicati un po' tutti, anche se, ovviamente, ho i miei preferiti. Ma per quel che riguarda l'Irlanda, leggerei anche l'elenco telefonico trovandolo interessante, quindi non faccio testo.
Poi, insomma, i russi, i vari Checov, i Dostojevskji, i francesi classici. Lo straniero di Camus l'ho trovato superbo. Gli americani. Insomma. Mi sembra talmente banale quello che dico.
Ma ecco, diciamo che vado a fasi; Ultimamente cio' che mi sta a cuore è l'emozione umana, le sensazioni vissute dalle persone nella vita quotidiana. Quello che Truffaut riusciva cosi' bene a riportare sullo schermo cinematografico, l'ho ritrovato in una certa letteratura russa (che pero' va un po' filtrata da manierismi ottocenteschi) e da autori americani come Fante e Carver (in modo molto diversa, l'uno dall'altro). Anche Pearl Buck mi piace molto, per questo, e mi tocca profondamente.
Uno che, pero', in questo momento è per me imprescindibile è John Steinbeck. Se non ne leggo almeno un libro al mese mi sembra di non stare bene.
Poi, be', ci sono London, Hemingway, Faulkner. Insomma, sono cosi' tanti che ho difficoltà ad elencarli. Sono meno afferrato, invece, sui contemporanei. Li' mi perdo completamente.

6)Di recente il tuo nome è passato sotto i riflettori dei media in quanto sei coautore con Palo Mitton del film The Repairman che ha ricevuto critiche positive e un buon successo di pubblico.
Considerando che precedentemente hai scritto per il teatro com'è stato scrivere un film? Come giudichi la tua esperienza?


Scrivere per il cinema è stilisticamente brutto. Non c'è buona letteratura per cinema. Voglio dire, prendi una sceneggiatura e non puoi dire Ma basta là che roba, guarda com'è scritta bene!
 Pero' scrivere per il cinema dà una disciplina di lavoro, e poi mi ha insegnato ad applicarmi ad un progetto di ampio respiro. Inoltre, nel cinema, le storie sono meno meccaniche, rispetto al teatro. Hanno un respiro diverso. Non ci sono solo cause e effetti, ma anche momenti i cui si fa passare un'emozione allo spettatore attraverso una scena che apparentemente non c'entra nulla. Una scena che, magari, ci dice solo che il tempo sta trascorrendo, che il protagonista sta crescendo, o che la stagione è cambiata. Un altro respiro, insomma.
Il cinema, poi, mi ha anche insegnato a guardare alla gente e al modo di parlare in maniera più realistica di quanto non facessi prima.
Credo che il mio ultimo avvicinarmi agli autori americani possa essere una conseguenza di questa crescita stilistica e personale che passa attraverso il realismo della parola e del dialogo.
Infine, ed ecco un'altra affinità tra il cinema e la letteratura americana del '900, sono le vicende, le situazioni, a dettare  il ritmo delle emozioni. Non si tratta per forza di bello stile, anzi, è solitamente piuttosto semplice, lineare, diretto, chiaro. E sono quindi le avventure, come dicevo, le vicende e le situazioni, ad emozionare lo spettatore. E' un modo di ragionare completamente diverso rispetto a quello che ci viene insegnato a scuola, secondo cui la buona letteratura è quella scritta bene, è la frase perfetta stilisticamente. Per un Hemingway la frase perfetta è corta, semplice e chiara. La vedete la differenza con Proust?


7) I protagonisti delle storie che racconti nei tuoi libri a teatro e nei film vivono una serie di esperienze dove alla fine scoprono la loro felicità. Una felicità che non è da confondere con il suo mito, perciò ti chiediamo cos'è per te la felicità?

E' vero. Non ci avevo fatto caso, ma tanto nel libro quanto in The Repairman, si ritrova questa ricerca.
Credo che inconsciamente derivi dall'importanza intrinseca che do io alla felicità.
La mia opinione è che se siamo nati e se viviamo, abbiamo una sola responsabilità e verso una sola persona: quella persona siamo noi stessi, e quella responsabilità è cercare di essere felici.
Con questo non voglio dire che si debbano calpestare gli altri per ottenere il nostro piacere personale, assolutamente. Quello che voglio dire è che spesso facciamo tutto per compiacere gli altri, o magari per ottenere dei risultati che sono il riflesso di cio' che ci hanno insegnato come buono e giusto. E ci dimentichiamo che il solo obbligo che abbiamo è di essere felici, non domani, con un lavoro, una casa una famiglia. Ma qui, oggi e e adesso. Domani, quando avremo un lavoro, una casa e una famiglia, sarà troppo tardi, avremo perso per sempre la felicità di oggi.
La felicità, è bene specificarlo, non cade dal cielo, ma è una ricerca continua. Per questo se non ci abituiamo a cercarla, poi, quando saremo arrivati ad una posizione sociale da ritenersi soddisfacente, sentiremo che comunque qualcosa ci sfugge. Quella posizione sociale non è la felicità.  Non sono la stessa cosa. Abituiamoci a vederla attorno a noi, a cercarla e trovarla. Fermiamoci, lasciamo che i treni partano senza di noi, che i tram si allontanino diventando piccoli, e ritroviamo il nostro respiro, guardiamo di colore dela scorza dell'albero che ci è accanto, facciamo una doccia calda sentendo il pizzicore delle gocce sulla pelle. Ciascuna di queste cose è più vicina alla felicità di qualiasi promozione al lavoro.
Attenzione, non giudico niente e nessuno. Non voglio dire che qualcuno non possa essere davvero, intimamente, felice nello svolgere bene il proprio lavoro. La felicità è personale e cambia da persona a persona. Ma spesso la confondiamo con la realizzazione.
Mentre felicità e realizzazione sono cose diverse.
Senno' non avremmo due parole diverse per indiacarle.
E non bisogna neanche confonderla con la realizzazione dei sogni o dei desideri. La felicità è una cosa a sé. Non si raggiunge appagando altri desideri, se non con la sua ricerca ultima, intima e personale.

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