La disciplina di Camilleri



In questi giorni è morto Camilleri. Come capita spesso in questo paese, l'opinione pubblica riesce a spaccarsi in due anche difronte a un tragico evento. Chi lo osanna e chi lo critica, in un'eterna lotta Guelfi contro Ghibellini.
Io, lo considero un ottimo giallista. Non ho mai preteso che il giallo e il thriller vengano considerati come una forma alta di arte o letteratura. Però è un genere che amo e mi diverte. In questo senso Camilleri è un autore che mi piace. Un'ottima penna. Così oggi voglio omaggiarlo riportando un estratto di un'intervista di Piccolo a Camilleri presente sul libro La tripla vita di Michele Sparacino.
Ho intitolato il post "La disciplina di Camilleri" perchè dopo aver letto quest'intervista sono rimasto impressionato da quanto quest'uomo fosse ossessionato dall'ordine e da come riuscisse ad incasellare la sua creatività in uno schema rigido e preciso di regole auto imposte. Credo che questa qualità lo abbia reso uno dei agli autori più prolifici del genere.


Oltretutto questo è un racconto preso da una serie di storie che lei scrive per “divertimento personale”…

Sì, non hanno una destinazione editoriale, né la vogliono avere. Guarda, anche se non pare, sono un uomo estremamente ordinato, mentalmente. Non so se l’hai notato, ma tutti i romanzi di Montalbano si compongono di 180 pagine conteggiate sul mio computer, divise in 18 capitoli di 10 pagine ciascuno. Se il romanzo viene fuori con una pagina in più o in meno, io riscrivo il romanzo perché vuol dire che c’è qualcosa che non funziona.

Perché invece Montalbano funziona così, in 180 pagine?

Perché secondo me così, in 180 pagine esatte, funziona. Quindi io prima di scrivere ho bisogno di fare il lucido, come fanno i geometri, cioè a dire: qual è il respiro di questo romanzo che ho in testa? I vuoti, i pieni, dove c’è la finestra, dove c’è il giardino. Ho bisogno di organizzarmi questo schema, e fino a quando non organizzo questo schema sono incapace di scrivere. Anche se il romanzo, in un altro ordine di successione, ce l’ho tutto in testa. Quando finalmente ho questo lucido davanti a me, allora comincio.

[...]

Ma cosa fa scaturire, l’ordine?

Suppongo che sia l’ordine a far scaturire il racconto. Io dico che la mia poetica è un grande pannello da cantastorie – dopo te lo faccio vedere, ce l’ho di là. Ci sono 40 riquadri, e la storia devi raccontarla in 40 riquadri, non puoi andare oltre né fermarti prima. Ed è una sorta di inconscia reazione per esempio a certi fatti teatrali, quando per anni sono stato a fare Stanislavskij e continuamente ci si chiedeva: cosa c’è prima e cosa c’è dopo? Ecco, non c’è niente. Tutto deve essere compreso nel romanzo, non puoi dire che c’è qualcosa prima. Se c’è, la devi mettere nel romanzo, altrimenti non esiste. Mentre in teatro un prima c’è, ed è il dietro le quinte, in un romanzo quello che c’è prima è la copertina e quello che c’è dopo è la quarta di copertina. Basta. Allora, lì dentro il prodotto deve rispondere a mie particolari geometrie mentali, e fino a quando non risponde a queste particolari geometrie, io non licenzio il libro. Anche se a malincuore dovrò tagliare venti pagine, le taglio. Vuol dire che non l’ho pensato bene. Perché sto a lungo a pensare a un racconto o a un romanzo. La scrittura, che dicono sia così veloce, non è altro che calare la pasta perché l’acqua è già arrivata al punto giusto di bollitura.

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