Diario di una quarantena - Lunedì 30/03/2020
Mi sveglio, entro nel bagno, respiro a pieni polmoni e il mio olfatto incontra l'odore acre della candeggina. Il risultato della sanificazione di ieri. Tossisco. Respiro. Torna la calma. Shock a parte, impiego 2 secondi ad abituarmi a quell'odore. Non mi dà fastidio. Anzi mi dà sicurezza. Da piccolo ho trascorso lunghi periodi all'ospedale. La prima volta che trascorsi un mese all'ospedale, quando tornai a casa non mi sentivo a mio agio. L'ospedale era un ambiente straordinario, nel senso che non era un luogo dove normalmente trascorrevo il mio tempo. In quell'ambiente avevo tutto ciò che mi serviva per la mia sopravvivenza. Dottori, infermieri, medicine, struttura, cibo. Mi sentivo difeso. A casa, invece, l'ambiente era ordinario. Non mi sentivo più al sicuro. Per cui quell'odore di candeggina si è appiccicato al mio inconscio e gli suggerisce che quando lo sento sono al sicuro.
Le ore scorrono tranquille. Fuori piove. Io sono dentro al caldo. Faccio un mix di webinar e smart working. Inserisco abilmente la pausa pranzo. Come sempre piatti dal minor impatto igienico. Nel senso che non voglio sporcare troppe cose.
Le ore scorrono tranquille. Fuori piove. Io sono dentro al caldo. Faccio un mix di webinar e smart working. Inserisco abilmente la pausa pranzo. Come sempre piatti dal minor impatto igienico. Nel senso che non voglio sporcare troppe cose.
La giornata di oggi, fosse una stazione radio, sarebbe una di quelle che prendono poco, non hanno fruscio, ma il volume è basso.
Arriva la sera. Link di Zoom. E' Primo che apre la chat. San Primo, secondo solo a San Giuseppe. Siamo in quattro, poi cinque, poi sei. Cresciamo esponenzialmente come la curva del covid-19. Serie di versi. Frasi sconnesse. Visi sorridenti. Mi sembra di essere a Mai Dire Goal. In mezzo a quel trambusto inizio, però, a sudare freddo. Ho appena cenato. Lo stomaco fa rumore. Quel rumore. Quello che ti avverte che hai solo più dieci secondi di tempo. E io devo togliere ancora i pantaloni. Avviso la truppa del pericolo imminente. Siamo in una video chat però. Certi momenti bisogna trascorrerli in intimità. Assurdità del caso. Sono in quarantena, non vedo nessuno e alla prima video chat, scatta il momento X. Finalmente capisco il senso del tasto rosso di Zoom. Perchè disattivare la telecamera in una video chat? Per le situazioni di emergenza, appunto. Sono in bagno, sì quel luogo che da ieri è diventato più sicuro grazie alla candeggina. Mi esprimo in un assolo di chitarra che supera quello di David Gilmour in Confortably Numb. Bene, la festa è finita. Riattivo la camera e vedo il mio viso più rilassato. I miei amici nel mentre continuano a parlare come se fossimo al mercato del pesce. Li saluto e chiudo la conversazione.
Son quasi le 21. Ho una diretta audio da ascoltare. C'è un'associazione dalle mie parti che ogni Lunedì alle 21 fa una diretta live di frequenze musicali. Ormai è il terzo appuntamento per me. Mi metto comodo sul divano. Spengo le luci. C'è solo il telefonino acceso per la musica. Respiro. Mi concentro sul respiro. Per un attimo divento minuto e osservo le mie narici nella preziosissima sequenza di inspirazione ed espirazione. L'aria entra e poi esce. E' tutto qui quello che mi serve. La musica fa il suo corso. E' un discorso complesso da affrontare ma questa musica riguarda la stimolazione dell'apparato uditivo a certe frequenze. Chiaro, fossi vicino allo strumento musicale sarebbe meglio. Ma in ogni caso, la diretta di stasera è stata molto bella. Finiti i trequarti d'ora riapro lentamente gli occhi. Sto bene. In pace. Per una volta è davvero un peccato alzarsi dal divano, accendere il computer e scrivere il mio Diario.
Arriva la sera. Link di Zoom. E' Primo che apre la chat. San Primo, secondo solo a San Giuseppe. Siamo in quattro, poi cinque, poi sei. Cresciamo esponenzialmente come la curva del covid-19. Serie di versi. Frasi sconnesse. Visi sorridenti. Mi sembra di essere a Mai Dire Goal. In mezzo a quel trambusto inizio, però, a sudare freddo. Ho appena cenato. Lo stomaco fa rumore. Quel rumore. Quello che ti avverte che hai solo più dieci secondi di tempo. E io devo togliere ancora i pantaloni. Avviso la truppa del pericolo imminente. Siamo in una video chat però. Certi momenti bisogna trascorrerli in intimità. Assurdità del caso. Sono in quarantena, non vedo nessuno e alla prima video chat, scatta il momento X. Finalmente capisco il senso del tasto rosso di Zoom. Perchè disattivare la telecamera in una video chat? Per le situazioni di emergenza, appunto. Sono in bagno, sì quel luogo che da ieri è diventato più sicuro grazie alla candeggina. Mi esprimo in un assolo di chitarra che supera quello di David Gilmour in Confortably Numb. Bene, la festa è finita. Riattivo la camera e vedo il mio viso più rilassato. I miei amici nel mentre continuano a parlare come se fossimo al mercato del pesce. Li saluto e chiudo la conversazione.
Son quasi le 21. Ho una diretta audio da ascoltare. C'è un'associazione dalle mie parti che ogni Lunedì alle 21 fa una diretta live di frequenze musicali. Ormai è il terzo appuntamento per me. Mi metto comodo sul divano. Spengo le luci. C'è solo il telefonino acceso per la musica. Respiro. Mi concentro sul respiro. Per un attimo divento minuto e osservo le mie narici nella preziosissima sequenza di inspirazione ed espirazione. L'aria entra e poi esce. E' tutto qui quello che mi serve. La musica fa il suo corso. E' un discorso complesso da affrontare ma questa musica riguarda la stimolazione dell'apparato uditivo a certe frequenze. Chiaro, fossi vicino allo strumento musicale sarebbe meglio. Ma in ogni caso, la diretta di stasera è stata molto bella. Finiti i trequarti d'ora riapro lentamente gli occhi. Sto bene. In pace. Per una volta è davvero un peccato alzarsi dal divano, accendere il computer e scrivere il mio Diario.
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