Diario di una quarantena - Giovedì 30/04/2020

Secondo giorno di afta e non è una cosa di cui vantarsi coi vicini di casa. Il fastidio c'è ma non è fortissimo. Non voglio portarmi sfiga, ma forse l'ho beccata in tempo. Al mattino faccio colazione veloce e poi esco per comprare il pane. E' un bella giornata. Lungo la strada non incontro nessuno, a parte un signore che sta in piedi sul balcone e nel mentre mi fissa come un miope senza occhiali.



Non indosso la mascherina. O meglio, ce l'ho dietro, ma aspetto di arrivare in piazza, davanti alla panetteria, per indossarla. Lungo il tragitto incrocio un anziano col quale tempo fa ho stretto amicizia. Oddio forse amicizia è una parola grossa. Siamo conoscenti. Alla domenica mattina, nel periodo ante quarantena (A.Q.), avevo l'abitudine di andare al bar a prendere il cappuccino. Essendo intollerante ai latticini, il cappuccino è il mio lusso della domenica. Così col tempo è diventato un rito. Solito posto, solito bar. Quello è il mio momento sacro. Di solito alla domenica siamo sempre gli stessi quattro tavoli. L'anziano in questione è uno di questi. Lui è molto scorbutico. Uno di quelli che se non gli portano le ordinazioni subito inizia a mortificare il personale del bar. Come tale non sopporta le madame altezzose della domenica mattina. Lui tendenzialmente arriva prima di me e si sequestra il giornale. Se lo legge e se lo studia. Immancabilmente c'è qualcuno che gli fa pressione perché lo finisca e spesso sono le madame. Io, invece, non gli ho mai detto nulla. Sto nel mio angolo e mi godo il cappuccino. Lui come finisce il giornale, mi chiama e me lo da. Non lo fa con nessuno, però pur di non dare soddisfazioni agli altri passa il giornale a me. Insomma, senza dirci nulla è nato un accordo tacito e indissolubile. Il fatto, poi, che sia il più orso dei clienti del bar, lo rende un accordo speciale.
Oggi appena ci siam incrociati, mi ha puntato, mi ha salutato e mi ha subito redarguito perché ero senza mascherina. Lo scorbutico. Gli ho sorriso e mi son giustificato allegramente.
Arrivo davanti alla panetteria e trovo una coda che ha pessime premesse. Mi fisso dietro all'ultimo e decido di allenare la mia pazienza. Non ho contato i minuti ma non dubito di essere stato un trenta minuti ad aspettare il mio turno. Ritorno a casa e incrocio nuovamente l'anziano. Ha la maschera sotto il mento. Io invece ce l'ho addosso. Colgo la palla al balzo. Lo guardo e gli dico: "Così non vale ehh". Lui mi guarda come per dire "ma come ti permetti, giovane maleducato". Ma io ridevo da dietro la mascherina come un pirla. E difronte a un pirla come vuoi reagire? Ridi anche tu.




Torno a casa e mi cambio i vestiti. Cerco di ottimizzare i tempi. Da Lunedì torno a lavorare, il che significa uscire e rientrare a casa due volte al giorno. Per fortuna ho due ore e mezza di pausa. Ma dentro al break c'è il viaggio in macchina, il cambio vestiti, cucinare, lavare i piatti e rifare il letto. Sì ho deciso di sfruttare la pausa pranzo per areare bene la stanza. Non capisco ancora bene il perchè ma il rientro al lavoro mi crea una certa tensione. Va anche detto che i soldi della cassa integrazione non sono ancora arrivati e questo di certo non tranquillizza. Però è così. Chi paga le conseguenze delle inefficienze della burocratica è il cittadino. Da sempre. Altrettanto da sempre, chi amministra da quell'orecchio non ci sente tanto bene. E pensare che oggi ci sono anche gli apparecchi acustici. Mah.


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